giovedì 7 ottobre 2010

Signor giudice Libertà


Sì Signor Giudice. Ho ancora qualcosa da dire.
Che ancora non mi posso che togliere lo sfizio di uno solo commento a questo processo. Anzi, manco del processo vorrei parlare. Ma di voi. Che ladro mi giudicate e a essere ladro mi avete insegnato .
Sì e non faccia finta di niente. E neanche lei avvocato, che ride sotto i baffi per la parcella che già legge dietro alle mie sbarre. Che la libertà mi sono giocato. Perché ammetto di avere condotto una vita disonesta. Disonesto tra i disonesti. Che ammetto di aver rubato. Sì, a chi è più ricco di me. Perché io non sono mai stato idraulico e mai ho studiato, signor avvocato. Come voi. Che tenete famiglia e una bella casa. Come chi vi costringe ad essere ciò che siete, servo di un sistema che vi permette di guadagnare sulle spalle di chi è stato disonesto e più ricco di voi. Forse non di soldi, ma di emozioni, di verità e semplicità. E in fondo forse io e lei facciamo lo stesso mestiere. Perché io niente ho. Mai avessi avuto la soddisfazione di tenere da parte un centesimo per realizzare i miei sogni. Che ho rubato è vero. Ma perché signor giudice, chi siede in parlamento non ha forse rubato? E qui direte- casca nel banale. Son buoni tutti a tirar fuori questo discorse in fronte alla forca. E invece io questo discorso ve lo voglio fare. Perché non hanno forse rubato le grandi firme delle vie dei ricchi che vendono ai ragazzini vestiti da migliaia di euro? Non mi hanno forse tolto la dignità di essere padre e di negare ai miei figli la possibilità di essere come tutti gli altri bambini e di non venire presi in giro dai compagni? O la mia dignità di marito. Che non si è potuto togliere lo sfizio di una pelliccia alla propria signora, come voi alla vostra. L’invidia regola questa società signor giudice. E non è una dote innate, l’invidia. Si insegna. Con la violenza. E io mi sento violentato dall’invidia e da voi che me l’avete insegnata. Al consumo al quale ci avete sottoposti che non avete che da lamentarvi che le carceri son troppo piene e che ci vuole una legge. Che ci vuole un permesso, una  regola una finanziaria, ma che c’avete?! Per il criminali tenete sempre tanto posto. Ma per i criminali che peccano d’invidia. Perché ai criminali che già hanno tutto non imponete la sbarra come a me. A loro tutto è permesso perché invidiati e non invidiosi.
Che spero un giorno mi possano invidiare ciò che loro non avranno mai. La tranquillità. Un tramonto tra le sbarre, la libertà vera di non dover rendere conto più a nessuno. Della vecchiaia. Del tempo perso e delle occasioni sfuggite. Di stare fermi. In un punto. Senza stare a correre dietro al profitto e cacce alle streghe. Perché più potere si ha e più si teme di perderlo;  e di morire. Si ha paura. Io signor giudice quella paura non ce l’avrò mai e spero che anche in punto di spirare si possano almeno immaginare l’impiccagione di colui che fu invidioso alla finestra di una cella. Nella solitudine della propria libertà.
E lei signor giudice Libertà che quel nome porta a vessillo su targhetta cromata sotto quelle parole di ignominiosa falsità, si guardi allo specchio e si ripeta il capo d’imputazione che come dicevo non ha più che da lamentarsi delle carceri che son piene d’invidiosi.

wish you were here- radiohead cover

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