giovedì 7 ottobre 2010

"Ada" di Elisabetta Setnikar

Quando leggo “Ada” mio nonno è in procinto di abbandonarci. Un giorno si è presentato a casa ed era tutto giallo. Come un Simpson. Era il fegato. Sarà per questo che mi ha colpito. Sarà che le persone vanno e vengono, ma quando si spengono non le riavrai mai più. E di persone ne ho perse tante. Dopo un po’ riesci anche a farci il callo. Se così vogliamo dire. E quando poi ci fai il callo riesci a riflettere. Non le rivedi nel cuore della notte a fianco a te nel letto, affacciate al balcone di casa quando torni la sera, nel volto di ogni passante. Te ne fai una ragione insomma. E magari riesci anche a scrivere. Ma di tempo ne passa. E siamo tutti uguali. Non dobbiamo essere scrittori professionisti, intellettuali o giornalisti. Di fronte alla morte siamo tutti dei grandi artisti. Nella memoria, siamo tutti grandi artisti. Ma ci vuole coraggio, e tanto, per ricominciare. Perché scrivere di una persone smarrita è come forzare una ferita finalmente rimarginata e ogni parola diventa un dolore incommensurabile. Scrivere è lo stadio finale.
Elisabetta Setnikar ha compiuto questo passo. Ha riaperto quella ferita e ne ha fatto un libro. Ha voluto condividere con qualsivoglia lettore quel suo dolore splendido, fatto di bellezza, armonia e piatti deliziosi. Ha scritto un romanzo biografico della sua esperienza. Dei suoi affetti. Dei suoi ricordi di bambina. Ha scritto un libro su sua nonna. Un libro semplice, genuino che profuma di pane e vino rosso. Ne è intriso. Nelle descrizioni delle foto, negli echi dei corridoi in penombra di case che non esistono più, di luoghi che non ritroverete se non nella memoria delle persone di chi c’è stato, di chi ne ha accarezzato le superfici, gli angoli ora troppo impolverati. Quella che ci viene proposta è un’opportunità. L’offerta di ritornare in un mondo perduto, lontano ma al contempo vicinissimo, fatto di essenzialità, al di fuori del superfluo che oggi ci sommerge e soffoca. Ecco, essenzialità è il termine intorno al quale verte l’intero libro dell’autrice milanese. Essenzialità dei luoghi, delle voci, dei respiri, dei mobili, delle parole, dette o meno, degli amori che sempre saranno gli amori  per l’eternità.
E poi il distacco.  Come il risveglio da un bellissimo sogno. Si cerca di ricordare, ci si spreme le meningi e si prova a richiudere gli occhi, a imporsi il sonno per tornare là, in una dimensione parallela e  astratta. Ma invano. Allora si cerca di ricostruire, da principio. Il diario di un sogno. Con protagonisti che per una notte ci sono appartenuti e che non saranno mai più nostri, ma che sempre ricorderemo con un sorriso. Semplice ed essenziale, come un sogno.

Giulio Rubinelli

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